Pagine

mercoledì 1 dicembre 2010

Responsabilità individuale celtica e peccato cristiano


Tratto da: "Il Vischio e la Quercia" di Riccardo Taraglio - Ed. L'Età dell'Acquario

Nel pensiero celtico non esisteva l'idea del peccato che fu introdotta solo in seguito dalla morale giudaico-cristiana; i Celti conoscevano i geasa, i limiti o tabù rituali che andavano rispettati e la cui trasgressione aveva l'effetto di far deviare dall'evoluzione e ritardarla, ma questo modo di agire non era male come noi oggi lo concepiamo, non in senso morale perlomeno.
Ogni trasgressione, ogni debolezza, ogni errore rappresentavano perciò altrettanti ritardi nello slancio evolutivo universale e ciò supponeva una nozione di responsabilità per le proprie azioni, reponsabilità verso se stessi e di conseguenza nei confronti del proprio gruppo-tribù e dell'universo (essendo esso "contenuto" e rappresentato nell'interiorità dell'uomo).
Non esisteva, quindi, un castigo o una ricompensa da scontare o ricevere nell'Altromondo per le azioni compiute, ma ognuno ne diveniva responsabile e ne affrontava personalmente le conseguenze.
Presso i Celti, la Materia veniva tenuta in debita considerazione e mai trascurata. Nelle citazioni fatte dagli antichi autori greci e latini per descrivere l'aspetto fisico dei Celti, viene fuori sempre un ritratto di bellezza, di armonia, di cura per il corpo. I Druidi non insegnavano a disprezzare il proprio corpo come invece fecero San Paolo, Sant' Ambrogio, Sant' Agostino e altri pensatori cristiani, in un certo qual modo responsabili della dissolutezza dei costumi morali e sessuali che si vide fra i cristiani nel IV secolo C.E. (per non parlare della società di oggi!) dovuta a un'erronea presa di posizione nei confronti del concetto del peccato originale.
I "credenti" dell'epoca, come insegnato da S. Agostino ritenevano la natura umana corrotta a causa di Adamo ed Eva e perciò non si reputavano responsabili direttamente del male che proveniva dalle loro azioni immorali. Pelagio, un pensatore cristiano dell'area celtica, propose il concetto secondo il quale l'umanità era perfettibile e che ognuno fosse padrone del proprio destino scegliendo il bene o il male come metro di comportamento. Pelagio fu condannato come eretico per aver cercato di reintrodurre la filosofia di vita che portò i Celti prescritiani a non conoscere un ascetismo legato alla mortificazione della carne, quella forma di supposta unione con il divino che interessò invece tutto il medioevo europeo.
La tradizione druidica espresse l'idea di una partecipazione attiva del corpo e della materia alla vita dello Spirito, e così possiamo ancora una volta affermare il principio dei Celti secondo il quale la Materia è Spirito e lo Spirito è Materia.
Il classico eroe celtico doveva essere intelligente, veggente, utile, efficiente, ma anche fisicamente forte, bello, sano, capace di sopportare le fatiche del combattimento e dell'ebrezza, in grado di portare a buon fine un incontro femminile, unendo a facoltà spirituali e psichiche anche quelle fisiche. Come si può intuire i Druidi non negarono mai l'utilità del corpo, le sue funzioni e i suoi desideri e non predicarono l'asistenza sessuale o il divieto del matrimonio nè per se stessi nè per il proprio popolo.

L'unico peccato che si poteva commettere secondo i Druidi era non ascoltare ciò che l'individuo era davvero e limitare la libertà personale.

Nessun commento:

Posta un commento